IL REFERENDUM COSTITUZIONALE E IL PD

di CARLO VALENTINI

 Un tempo il legame era strettissimo, adesso le vicissitudini della politica (come quelle della vita) hanno allentato le parentele ma pur sempre quelle organizzazioni sono nella galassia pidiessina. E’ storia il fatto che Arci, Anpi, Legacoop, Cgil, ecc. abbiano marciato insieme all’ex-Pci e alle sigle successive fino all’arrivo di Matteo Renzi, e siano state procacciatrici di voti e fucina di dirigenti. Del resto l’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, non era forse il presidente di Legacoop? E  Guglielmo Epifani e Sergio Cofferati, ex-segretari della Cgil, non sono stati eletti in parlamento nelle liste Pd (anche se poi Cofferati se n’è andato)? Insomma, non è più il collateralismo granitico d’un tempo ma le strizzate d’occhio ci sono ancora, seppure messe a dura prova dall’irruenza del presidente del consiglio e segretario del partito. Tanto che all’interno delle associazioni si tifa apertamente per    Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, che al prossimo congresso Pd sfiderà Renzi col programma di riportare il partito in un alveo più consono alla sua tradizione.

Ma il congresso è lontano mentre il referendum sulle riforme costituzionali è vicino: come approcciarsi a un evento elettorale che sta assumendo valore politico pro o contro il governo?  Il referendum sulle trivellazioni, in fondo, era ben poca cosa e quindi Legacoop e Arci, Anpi e Cgil ma pure le Acli, da sempre l’ala dialogante del mondo cattolico, non avevano avuto imbarazzo a remare contro Renzi invitando gli elettori ad andare a votare e dando spesso indicazioni per il sì. L’insuccesso, dal loro punto di vista, del referendum non è stato un dramma, in fondo a mobilitarsi erano state solo le frange più sensibili ai temi ambientisti. Invece ad ottobre vi sarà il redde rationem su Renzi e quindi la faccenda è tanto delicata che nella galassia si litiga perché indicare di respingere la riforma e quindi il governo Renzi significa votare contro il Pd, col centrodestra e i grillini che non vedono l’ora di approfittarne.

Non a caso Renzi ha voluto accanto a sé un partigiano sul palco di Firenze da dove ha aperto la campagna per il sì al referendum. Uno schiaffo all’Anpi, l’associazione dei partigiani, i cui dirigenti non sopportano il revisionismo renziano e stanno organizzando la propaganda per il no. Anche l’Unità è scesa in campo criticando aspramente il presidente Carlo Smuraglia, che risponde: “Hanno scritto che mi considerano  inadatto. Si tratta di un attacco ad personam perché capiscano tutti che non è gradito un intervento dell’Anpi nella campagna referendaria. Sbagliano. Tra poco ci sarà il nostro congresso e sarà eletto un nuovo presidente perché io, a 93 anni, mi ritiro però la linea non  cambierà perché la grandissima parte degli iscritti è convinta di andare avanti sulla strada di votare no al referendum”.

Poi ha scritto nella newsletter dell’Anpi, che arriva a tutti gli iscritti: “Faremo il possibile per aiutare a capire, prima ancora che a convincere, persuasi come siamo che tali e tante siano le buone ragioni per opporsi ad un simile stravolgimento della Costituzione, che basta la loro conoscenza per decidere come votare, ed è augurabile che ci siano tanti no ad una riforma come questa”.

Logico, quindi, che Renzi se la sia legata al dito e cerchi di manovrare all’interno dell’associazione, chiamando a raccolta gli anti-Smuraglia. Come uno storico dirigente, Nedo Bianchi, docente di storia dell’arte e autore di libri sulla Resistenza, che commenta rivolto al quartier generale dell’Anpi: “Ho ricevuto la vostra lettera di invito al congresso e sono rimasto trasecolato. La lettera è una vera e propria chiamata alle armi per una mobilitazione generale. C’è una guerra da combattere? E contro chi? Contro un pericoloso nemico della democrazia che porta il nome di riforma Costituzionale. La strada è segnata, dallo stato maggiore acquartierato in un maniero impenetrabile da basso Medioevo. Amici, siete impazziti? Mi rileggo lo statuto della nostra associazione e non trovo dove l’Anpi debba e possa scendere nell’agone militante della politica. Ho sempre creduto e saputo che il compito dell’associazione fosse quello di tenere alta e viva la memoria storica della Resistenza. Chi sarebbero i redivivi fascisti che si preparano a restaurare la dittatura? La riforma costituzionale è frutto maturo di un parlamento sovrano. Di questa legge si deve parlare, e non di astrusità e fantasmi”.

Conclusione: il referendum renziano terremota addirittura l’associazione che raccoglie chi combatté il fascismo sulle montagne e che mai aveva avuto litigi così aspri al suo interno. Non meglio va all’Arci: anche qui si fronteggiano le fazioni del sì e del no. A Roma il direttivo (a maggioranza e con forte contestazione della minoranza: 48 voti contro 44)  ha approvato un documento per il no. Ma in periferia, soprattutto dopo la chiamata alle armi di Renzi e la promessa di 10 mila comitati, molti non ci stanno. A cominciare dalla Toscana, dove i circoli Vie Nuove e San Quirico hanno già ufficialmente annunciato di disobbedire e di partecipare alla campagna per il sì. Per evitare la scissione il presidente di Arci Toscana, Gianluca Mengozzi, fa il Ponzio Pilato: “non c’è intenzione di fare una partita per il no. Arci Toscana invita anzi i 17 comitati territoriali a dare agibilità democratica a posizioni diverse, ognuno deciderà liberamente se aderire ai comitati per il sì o a quelli per il no e a fare dunque o no campagna”.

All’opposto del documento ufficiale dell’Arci nazionale: “L’Arci si impegna a partecipare attivamente al comitato per il no ed invita i nostri dirigenti ad attivarsi anche mettendo a disposizione le sedi dei circoli a tale scopo”,

Lo scontro è duro. Coi dissidenti si sono schierati Toscana, Emilia, Piemonte e Trentino. Ma la geografia è a macchia di leopardo. Dice Giancarlo Brundi, presidente di circolo: “Personalmente sono renzianissimo ma chiunque chiederà uno spazio, si tratti di comitati per il sì o dei comitati per il no, glielo daremo. Però ritengo un grosso errore la scelta dell’Arci nazionale di schierarsi per il no”.

Pure il sindacato ha due differenti anime referendarie, Maurizio Landini, a capo della Fiom, il potente sindacato dei metalmeccanici, non vuole sentire ragioni: tutti uniti per il no.  Tanto che ha fatto aderire la Fiom (mentre la Cgil ha rifiutato) al Coordinamento democrazia costituzionale, in prima fila nella campagna elettorale contro la riforma. Dice Landini:

“Il problema non è la Costituzione, il problema è la corruzione. La riforma Boschi mira a ridurre gli spazi di partecipazione dei cittadini e aumenta gli spazi di gestione autoritaria. Bisognerebbe con forza ricordare che  la Corte costituzionale ha giudicato illegittima la legge elettorale con cui è stato eletto il parlamento attualmente in carica. Il quale ha ben pensato di procedere a una riforma costituzionale, nonostante la dichiarazione d’illegittimità della Consulta. Il mio appello è votare no”.

Però la Fiom era in prima fila anche nel referendum delle trivelle: brucia la sconfitta? “Nessuna sconfitta- risponde Landini.- Al referendum hanno votato si 13,2 milioni di persone. Il Pd alle europee ha ottenuto invece 11 milioni che sommati ai voti di Ncd diventano poco più di 12 milioni. Ora trovo singolare che 12 milioni servano a legittimare un governo che non ha una maggioranza nel Paese e che 13,2 milioni di persone che chiedono un cambiamento della politica dell’esecutivo siano considerati invece una minoranza solo perché non è stato raggiunto il quorum”.

Tocca al segretario Cgil, Susanna Camusso, cercare di gettare acqua sul fuoco per tenere unito il sindacato. Non ci sarà nessun pronunciamento ufficiale della Cgil, nonostante le pressioni di Landini: “Rappresentiamo i lavoratori- dice- non ci trasformiamo in un contendente politico, non siamo un contendente del presidente del consiglio. Sul referendum ho espresso le mie perplessità, è giusto chiamare i cittadini a votare, ma non è giusto che quello diventi un plebiscito per qualcuno. Il mio voto? Non è deciso né scontato”.

Anche il presidente di Legacoop cerca di tenersi fuori dal ginepraio referendario e di guardare dall’alto l’ala sellina che spinge per il no contro l’ala renziana che vorrebbe spostare l’organizzazione verso il sì.  Perciò Mauro Lusetti fa il verso alla Camusso ed eviterà una plateale presa di posizione. Un modo per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, senza dispiacere troppo a Renzi, col quale la Lega ha comunque a che fare. Lusetti si appresta quindi a bissare l’equilibrismo tenuto sul referendum di aprile:  “Il voto è un diritto che rischiamo di sottovalutare solo perché sono lontani nel tempo i sacrifici di chi lo ha conquistato, ma è il perno della democrazia e della costruzione di una comunità nazionale coesa e forte. Al di là delle posizioni di ognuno, è importante esprimersi”.

Infine le Acli, che non sono mai state nell’orbita Pci-Pd ma spesso il percorso è stato parallelo. Alcune sezioni, come quella di Bergamo, si sono già pronunciate per il no. “Matteo Renzi – è scritto nel documento approvato dalle Acli di Bergamo- vuole trasformare il voto sulla riforma costituzionale in un referendum su se stesso ancor più che sul suo operato come presidente del consiglio. In questo modo il senso del referendum viene totalmente snaturato attraverso un indebito ed errato abbinamento tra la propria carriera politica e la riforma della Costituzione. Nel nostro ordinamento la Costituzione è il fondamento della Repubblica, mentre la sorte di Matteo Renzi non può minimamente essere messa a confronto. Vi sono evidenti tratti di infantilismo e di megalomania in questa specie di “ricatto”, in cui in sostanza si dice: o fate come voglio io, oppure me ne vado e non gioco più”.

Dissente il coordinatore nazionale dei giovani delle Acli, Matteo Bracciali: “Non esistono riforme perfette ed anche questa non lo è. Ma va incontro ad un principio sacrosanto che è quello di equilibrare i tempi della politica con quelli delle persone e quindi diamo un giudizio positivo sulla riforma”.

Che dire? Il referendum divide le associazioni, così come dividerà il Paese. Renzi lo sa ma: divide et impera.

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